
Il professore Alessandro Barbero, già cattedratico di Storia medievale all’Università del Piemonte Orientale, è ornai una rock star. Vanta milioni di fan, centinaia di canali YouTube ne diffondono le lezioni, è chiamato a rispondere su ogni argomento, dalla sessualità nell’anno mille alla guerra in Ucraina, dal rapimento di Aldo Moro a Garibaldi.
La sua cultura è indiscutibile, e ancor più la sua straordinaria capacità divulgativa. Si ascolta con piacere, tanto che, talvolta, non ci si accorge delle stilettate.
In occasione del primo maggio, su La 7, è stata trasmessa una sua lezione sullo schiavismo. Si tratta, in realtà, della riproposizione, sostanzialmente identica, di un intervento fatto circa un anno fa presso la Sacra di San Michele in Piemonte, sotto il favore dei Rosminiani. In quella circostanza non citò Marx, ma il resto del discorso è sovrapponibile. Il tema è così vasto che il professore sceglie tre documenti storici distribuiti nel tempo: nella Roma di Nerone, nel 1600 e nel 1800. Come è nel suo stile, fa parlare i testimoni dell’epoca e, sebbene nella sua lettura non manchi di sottolinearne gli aspetti ridicoli, invita a non giudicare e a provare a capire chi aveva una mentalità completamente diversa dalla nostra.
La testimonianza del 1600 è quella di un frate cappuccino, che di fronte alla ferocia schiavista non nasconde moti di commozione, ma allo stesso tempo li mette a tacere con ragioni e giustificazioni. La sua preoccupazione principale è il battesimo degli schiavi, non tanto che siano stipati e incatenati in 600. Come insegna Péguy, bisogna dire quel che si vede e vedere quel che si vede. È un fatto. La schiavitù era così radicata e consueta, che perfino un frate apparentemente di buon cuore faticava a vederne l’orrore. Il prof. Barbero voleva dimostrare la corruzione delle menti e dei cuori, in un’habitat in cui il male è costume consueto. Lezione imparata.
Da un professore di storia medievale, tuttavia, ci si poteva aspettare almeno un cenno alle bolle pontificie contro la schiavitù che si susseguono dal 1435 (Sicut Dudum, Papa Eugenio IV) in poi, e ai tanti interventi autorevoli che nel medioevo ne chiedevano, caso raro o unico nella storia, se non l’abrogazione almeno la mitigazione. Forse non era quello lo scopo della lezione. Forse. Resta il fatto che negli spettatori rimarrà la memoria di un senatore romano che decreta la crocifissione di 400 schiavi per presunta complicità in omicidio, un frate cappuccino che giustifica la frusta e le catena perché “i mori” non fanno che ballare, e di una schiava del sud degli Stati Uniti, vittima e testimone diretta. Amen.